Come un fiore: le campagne screening possono salvare la vita

Ersilia Sabatelli, 62 anni, campana della provincia di Avellino, deve la vita a uno screening. È la figlia Stefania Iovino a ripercorrere le tappe, da quando il 22 luglio di quest’anno gli accertamenti di routine (una mammografia e una ecografia, poi seguite da una biopsia effettuata al Policlinico Gemelli di Roma) non hanno rilevato un nodulo di due centimetri: un carcinoma. “Mia nonna e la mia bisnonna materne sono morte a causa di un tumore all’utero – spiega Stefania -. C’è una familiarità che da anni ci porta entrambe, sia io sia mia madre, a partecipare a campagne di prevenzione contro i carcinomi femminili. Il medico che ha eseguito i primi esami si è accorto subito che qualcosa non andava, che quel nodulo, difficilmente rilevabile con la palpazione, era sospetto. Fortunatamente l’abbiamo preso in tempo e non è un tumore molto aggressivo. Mia madre è una donna molto forte. Per me e per mio padre è stato uno choc, lei invece sta affrontando tutto con grande coraggio. Mi dice: andiamo avanti, non vedo l’ora di ricominciare a vivere”.

All’inizio non le sembrava vero, non credeva che a lei potesse succedere. Simona Orlandi Posti, 51 anni, romana, collaboratrice di un europarlamentare, ha scoperto di avere un carcinoma al seno nel 2019, durante una delle “Giornate della Prevenzione” organizzate da Komen Italia, l’organizzazione non profit in prima linea nella lotta ai tumori del seno fondata in Italia nel 2000 dal prof. Riccardo Masetti, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Senologica e del Centro di Senologia del Policlinico Gemelli di Roma. Simona è una di quelle 56mila donne che ogni anno in Italia ricevono quella diagnosi. È salita su una delle “Carovane della Prevenzione”, a Roma, e si è ritrovata a fare mammografia, ecografia al seno… quasi per caso. Non pensava di poter rischiare di avere un cancro. E, invece, il sospetto di quel medico sul camper “in rosa” le viene confermato pochi giorni dopo dalla biopsia. “Il tumore aveva già aggredito un linfonodo – ricorda Simona – ma tutta la ‘macchina’ si è attivata subito: mi hanno operata per asportarlo, e poi ho dovuto sottopormi a quattro cicli di chemioterapia. Quella campagna di prevenzione mi ha salvato la vita: con solo tre o quattro mesi ‘di ritardo’ il carcinoma sarebbe stato scoperto a uno stadio troppo avanzato… I medici mi hanno aiutata ad affrontare la malattia passo dopo passo. Oggi mi sottopongo a controlli ogni tre mesi e sarà così per i prossimi due anni. Dopo, per altri cinque anni, basteranno una volta ogni dodici mesi”.

di Natascia Ronchetti

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